IL DIRITTO ALL’OBLIO: LA SENTENZA DEL TRIBUNALE EUROPEO

Vi abbiamo già parlato delle novità introdotte in materia di privacy a seguito dell’entrata in vigore del GDPR, il Regolamento n. 679 del 2016 che è vigente in Italia da maggio del 2018 e che ha stabilito regole molto rigide per la tutela dei dati personali, anche attraverso la creazione di figure responsabili di monitorare il rispetto delle norme e di sanzionare le infrazioni.

Oggi vogliamo entrare più nel dettaglio, parlando del diritto all’oblio.

Il tema riveste un’importanza a dir poco fondamentale nell’ambito della tutela della privacy: infatti, il diritto all’oblio è, come si può facilmente intuire, il diritto ad essere dimenticati. Cosa significa? Significa che se circolano in rete delle informazioni che possono in qualche modo compromettere la reputazione di qualcuno, quel soggetto ha il diritto a far sì che tali informazioni non siano accessibili.

Bisogna però specificare: in realtà, il diritto all’oblio non prevede che le notizie siano definitivamente rimosse ma soltanto che siano “deindicizzate”. In sostanza, l’individuazione delle stesse diventa molto più difficile se non impossibile, grazie all’utilizzo di algoritmi che, di fatto, “oscurano” le informazioni di cui è sgradita la diffusione.

Il diritto all’oblio è un diritto di nuova generazione, che nasce come conseguenza dell’affermarsi dell’era digitale, pertanto non è ancora completamente disciplinato e normativizzato. Per questo motivo assumono un ruolo fondamentale le decisioni dei tribunali: la giurisprudenza infatti crea dei precedenti che, stratificandosi, vanno in qualche modo a colmare i vuoti normativi.

Ultimamente si sta parlando molto del diritto all’oblio perché ha suscitato molto scalpore una sentenza pronunciata lo scorso 24 settembre dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a favore di Google.

In buona sostanza, quello che si è stabilito è che il diritto all’oblio trova applicazione solo all’interno dei limiti territoriali europei, pertanto Google non è obbligata a deindicizzare le informazioni che riguardano soggetti che si trovino in Europa con riferimento alle ricerche effettuate al di fuori dei confini.

Strano vero? Eppure la decisione della Corte appare ragionevole se si riflette sulla ragione che la giustifica: «il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità».

Come si evince quindi dal testo della sentenza, la tutela del diritto all’oblio va rapportata alla tutela di altri diritti altrettanto fondamentali quali, per esempio, il diritto all’informazione e alla sicurezza.

Cosa ne pensate? Siete d’accordo con la decisione della Corte? Lasciateci il vostro commento!

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L’Avv. Citroni assiste da sempre società e gruppi societari fornendo assistenza anche nel “day to day business”. Interessata al diritto di famiglia e dei minori, nel 2014 ha pubblicato l'e-book "Questioni di Famiglia". Attualmente, oltre a pubblicare articoli sul Blog dello Studio, collabora in modo attivo con vari siti web dedicati, rivolgendo attenzione sia alle famiglie, che ai consumatori.
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