Il matrimonio, si sa, è il giorno in cui la coppia corona il suo sogno d’amore.
Di quell’amore, peraltro, tutti sperano nel “per sempre”. Se non è per sempre, però, le cose si complicano: ci si contende la casa, si pretende dal coniuge la restituzione di tutti i soldi prestati… Insomma, inizia una vera e propria battaglia che può anche durare anni!
Eppure, per evitare tutto ciò, una soluzione c’è: l’accordo prematrimoniale!
Insomma, qualche giorno prima del matrimonio, i nubendi possono sedersi a tavolino insieme all’avvocato e firmare una clausola del tipo: “se il nostro matrimonio dovesse fallire, io ti restituirò – a titolo di indennizzo – tutte le spese che hai sostenuto per ristrutturare la mia casa al mare”.
C’è da dire che questo tipo di accordi non sono ancora espressamente disciplinati dal codice, ma sono oggetto di una proposta di legge presentata dalla deputata Morani nel 2014, approvata dal Governo nel 2018, oggi in piena fase di attuazione.
Tale proposta di integrazione delle norme codicistiche in materia familiare, oltre ad adeguarsi alla normativa europea volta a valorizzare l’autonomia negoziale privata, pare abbia definitivamente dato fine ai numerosi contrasti dottrinali e giurisprudenziali passati, riguardanti la validità degli accordi prematrimoniali.
In verità, merita di essere sin d’ora evidenziato, che la Corte di Cassazione – già con la decisione n. 23713 del 21 dicembre 2012- aveva dato il via libera alla stipula di tali contratti, ritenendoli perfettamente validi ogni qual volta la loro causa risulti estranea al “fallimento del matrimonio”.
Per la recente giurisprudenza, infatti, seppur non sia possibile impegnare il partner a versare all’altro una somma di denaro solamente per via dell’eventuale intervenuta separazione, deve considerarsi comunque lecito un accordo con cui i nubendi decidano di concordare ex ante, ad esempio, l’ammontare dei costi mensili per il mantenimento del coniuge economicamente più debole e dei figli.
Anche in tali ultimi casi, infatti, vi è un motivo specifico e ben delineato dietro l’obbligazione del coniuge e dunque vi è una causa lecita.
Le ragioni del suddetto limite sono peraltro desumibili da diverse disposizioni di legge, da leggersi in combinazione tra loro.
In primo luogo, merita di essere segnalato l’art. 1322 Cod. Civ., il quale ammette la stipula di contratti “atipici”, quindi di accordi che, seppur non espressamente disciplinati dall’ordinamento, devono ritenersi comunque validi in quanto atti a garantire interessi meritevoli di tutela.
Solo se la causa sottesa all’accordo risulti idonea a soddisfare un interesse giuridicamente protetto, infatti, il fallimento del matrimonio potrà fungere da condizione sospensiva di efficacia del contratto, così come disciplinata dall’art. 1353 Cod. Civ, il quale appunto ammette espressamente che “le parti possono subordinare l’efficacia […] del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto”.
Orbene, grazie alla suddetta riforma, accanto alle convenzioni matrimoniali disciplinate all’art. 162 Cod. Civ., potrebbe presto inserirsi il nuovo art. 162 bis Cod. Civ., rubricato “accordi prematrimoniali”. Tale norma, oltre a quanto sopra delineato, dovrebbe in generale consentire che, mediante la stipulazione di tali patti, un coniuge si impegni a versare all’altro una somma di denaro periodica ovvero una tantum o, altresì, un diritto reale su uno o più immobili, purché con il vincolo di destinarli al proprio mantenimento o a quello dei figli.
Addirittura, la norma includerebbe anche la possibilità di disciplinare in via anticipata, mediante la stipula di tali accordi, anche la successione di uno o di entrambi i coniugi, fatto sempre salvo il diritto degli altri legittimari.
Premesso quanto sopra, per dar fine alle continue “lotte” familiari, non ci resta che attendere!
Per approfondimenti, guarda qui il disegno di legge.
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