Il matrimonio putativo si pone come rimedio agli effetti della dichiarazione di nullità del matrimonio. Interessanti sono, inoltre, le sue conseguenze patrimoniali.
La legge non può certo ignorare che il vincolo matrimoniale contratto abbia creato di fatto una comunità familiare. Questa deve essere tutelata di fronte al vizio che ne abbia inficiato la validità.
Con riguardo alla cessazione del vincolo matrimoniale, in diritto si distingue tra cause che viziano il rapporto – cause di invalidità – e cause che ne determinano l’estinzione – morte o divorzio-.
L’accertamento delle cause di invalidità passa attraverso la dichiarazione di nullità o di annullamento del matrimonio.
Queste dichiarazioni operano retroattivamente e rendono dunque, secondo le regole generali, il matrimonio invalido fin dal momento della sua celebrazione.
Il legislatore, tuttavia, in ragione della necessità di garantire gli status familiari e dell’esigenza di stabilità del vincolo matrimoniale per i membri della famiglia, tempera questo principio generale con la disciplina del matrimonio putativo, introdotto con l’art. 128 del codice civile.
Il matrimonio putativo viene in rilievo qualora il matrimonio, sostanzialmente invalido, sia stato contratto in buona fede, cioè ignorando i vizi dell’atto, da uno o da entrambi i coniugi.
Che cos’è la buona fede?
Per buona fede deve intendersi la falsa conoscenza, l’errore o l’ignoranza della causa che ha portato alla dichiarazione di nullità del matrimonio (alla buona fede la legge equipara lo stato di violenza o di timore di eccezionale gravità).
Il matrimonio putativo rappresenta dunque la situazione di chi si riteneva regolarmente sposato, ignorando l’esistenza del vizio che inficiava il matrimonio, e si vede annullare il matrimonio a causa di questo vizio.
La previsione interviene nel regolare il rapporto tra l’esigenza di un comportamento consapevole del soggetto che contrae matrimonio e le conseguenze dell’annullamento dello stesso.
Per questi casi la normativa sul matrimonio putativo prevede che l’atto matrimoniale sia comunque produttivo di alcuni effetti fino alla sentenza che ne dichiara la nullità.
La nullità del matrimonio, dunque, non impedisce la produzione degli effetti del matrimonio valido per il coniuge che lo abbia contratto in buona fede.
Questi effetti permangono fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato l’esistenza della causa di invalidità.
Le conseguenze previste dalla disciplina del matrimonio putativo investono tre ordini di situazioni:
il regime patrimoniale, i diritti successori e i figli.
Quanto al regime patrimoniale, il coniuge in buona fede avrà diritto a somme periodiche di denaro a carico del coniuge in mala fede per un periodo di tre anni.
Oltre a ciò, il coniuge in mala fede sarà tenuto anche alla corresponsione di un’indennità all’altro, a prescindere dalla prova di un danno effettivamente sofferto da questi.
Questa previsione configura una sorta di risarcimento, più che un dovere assistenziale nei confronti del coniuge in buona fede poiché non dipende dalle sue condizioni economiche.
Quanto ai diritti successori, l’art. 584 del codice civile attribuisce in favore del coniuge putativo gli stessi diritti successori del coniuge, qualora la sentenza che dichiara la nullità del matrimonio venga pronunciata dopo la morte del partner.
Infine, con riguardo ai figli, la scelta dell’ordinamento è quella di non far ricadere su di essi le scelte antigiuridiche dei genitori.
Il matrimonio putativo produce nei loro confronti gli effetti di un matrimonio valido.
Grazie alla disciplina del matrimonio putativo, dunque, la prole è salvaguardata con riguardo alle conseguenze della dichiarazione di nullità del matrimonio.
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