Da sempre il nostro Studio si occupa di diritto di famiglia e di tematiche attinenti, che suscitano grande interesse e sono sempre in costante evoluzione.
Proprio a causa del continuo rinnovarsi della normativa, lo scorso 27 giugno abbiamo partecipato ad un interessantissimo convegno di aggiornamento in cui si è trattato in particolare del tema dello scioglimento delle unioni civili. Il convegno si è tenuto presso il Salone Valente del Tribunale di Milano ed è stato organizzato da Rete Lenford, un network di avvocati che si occupano dell’eliminazione delle disuguaglianze nei confronti delle persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali) e della loro tutela giudiziaria nel contrasto ai comportamenti discriminatori.
Come ormai tutti sanno, la legge che regola le unioni civili è la n. 76 del 2016, la cosiddetta Legge Cirinnà.
Il percorso che ha portato all’approvazione della legge non è stato certo in discesa: il legislatore italiano si è trovato, in un certo senso, “costretto” ad adeguarsi all’orientamento europeo, sulla spinta della Corte Costituzionale che in diverse occasioni ha prescritto la necessità di legiferare in materia. La stessa Corte, con la sentenza n. 170 del 2014, ha sottolineato che i caratteri della stabilità e della continuità tipici del vincolo coniugale devono essere garantiti anche alle coppie composte da partner dello stesso sesso, ai quali è riconosciuto il diritto a non essere ingiustificatamente discriminati rispetto a tutte le altre coppie.
Ma la spinta definitiva è stata data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che proprio nel 2016 ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione, per non aver ancora riconosciuto il “diritto al rispetto della vita familiare” a persone dello stesso sesso.
È proprio sulla base di queste pressioni esterne che la legge Cirinnà ha trovato terreno fertile.
Sin da una prima lettura, tuttavia, si evince come la stessa si sostanzi in un ulteriore trattamento discriminatorio nei confronti delle persone non eterosessuali, sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, si introduce un meccanismo che è riservato esclusivamente alle coppie omosessuali (quello delle unioni civili): non sarebbe stato più semplice estendere la disciplina del matrimonio civile senza concepire un’intera normativa ad hoc? Qui, evidentemente, è stato creato un istituto autonomo e sono state fatte delle scelte oculate che lasciano trasparire, in modo molto poco velato, il contegno del legislatore sulla questione delle unioni civili.
E lo stesso si coglie in modo chiaro nella terminologia che (non) viene usata nel dettare la disciplina della materia: gli uniti non sono “coniugi”, ma sono “parti”, quasi come se si stesse parlando non di un’unione spirituale, di obiettivi e di vita tra due persone, ma di un contratto.
Non si parla in alcun comma di “famiglia”, nemmeno un riferimento.
È palese la connotazione prettamente privatistica che il legislatore ha voluto attribuire alla disciplina delle unioni civili, quasi come se fossero semplici accordi privati che non hanno alcun’eco di rilievo pubblicistico.
Gli elementi da cui si deduce questo intento sono svariati: in occasione dell’unione civile non sono previste le pubblicazioni fuori dalla casa comunale (le quali hanno una palese rilevanza pubblicistica, vista la loro funzione di rendere nota l’unione ai terzi e di consentire agli stessi, eventualmente, di opporvisi); l’unione civile inoltre non si “celebra”, bensì si “costituisce”: anche qui, emerge il rilievo totalmente privatistico della disciplina.
Le differenze tra la nuova disciplina delle unioni civili e la normativa tradizionale sul matrimonio si colgono anche e soprattutto nella disciplina dello scioglimento dell’unione.
Innanzitutto, è opportuno elencare le cause di scioglimento:
- co. 22: morte o dichiarazione di morte presunta di una delle parti;
- co. 23: cause delittuose di divorzio, nuovo vincolo matrimoniale contratto all’estero;
- co. 24: manifestazione, anche disgiunta, delle parti, della volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile;
- co. 26: la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, che determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
- co. 27 La rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, alla quale consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Sono due, in particolare, le cause di scioglimento sulle quali intendiamo soffermare la nostra attenzione nell’ottica del confronto con la disciplina del matrimonio e si tratta dei commi 26 e 27. Per quanto riguarda il comma 26, non si spiega il motivo per il quale la rettificazione del sesso debba necessariamente portare allo scioglimento dell’unione.
La stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 del 2014 si è pronunciata dichiarando l’incostituzionalità della legge n. 164 del 1982 (norme in materia di rettificazione di attribuzione del sesso), “nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione dello stesso, consenta ai coniugi di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altre forme di convivenza registrata”.
Questa pronuncia è indubbiamente applicabile all’ipotesi in esame, motivo per cui la disposizione contenuta nel comma 26 è evidentemente discriminatoria nei confronti delle unioni civili. Il comma 27, invece, istituisce una sorta di “declassamento” che ci conferma come, per il legislatore, il matrimonio costituisce l’unione di Serie A mentre l’unione civile è un “accordo” di serie B.
Quanto al procedimento di scioglimento, è strutturato in due fasi:
1. Fase amministrativa. È necessario rendere una dichiarazione innanzi all’ufficiale di stato civile della volontà di sciogliere l’unione (comma 24) e tale dichiarazione può essere congiunta (e ha come immediata conseguenza l’iscrizione nei registri) o disgiunta: in questo caso, bisogna informare l’altra parte dell’intenzione di sciogliere l’unione civile mediante l’invio di una lettera raccomandata alla residenza anagrafica. L’iscrizione nel registro avverrà nel momento in cui si perfezionerà l’invio della raccomandata.Il momento dell’iscrizione nel registro di stato civile è un momento importante perché costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine minimo di tre mesi per la proposizione della domanda di scioglimento. La funzione del termine minimo è quella di consentire un periodo di “riflessione” tra le parti.
2. Fase di scioglimento in senso stretto. Lo scioglimento potrà essere stragiudiziale, mediante accordo concluso innanzi all’ufficiale di stato civile o con negoziazione assistita, o giudiziale, presentando la domanda in tribunale.
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Buonasera,
circa 10 anni fa io e la mia ex compagna ci siamo unite civilmente negli Usa, non l’avevamo registrato in Italia perchè all’epoca non era riconosciuto. Quattro anni fà ci siamo lasciate ed ora avrei urgenza, mi unirò civilmente con la mia nuova compagna, di chiedere lo scioglimento dell’altra unione civile. Mi sono già attivata per avere il certificato esteso e legalizzato per procedere con la richiesta di trascrizione in Italia ma poi dovrei anche chiedere lo scioglimento ed i tempi sono un pò lunghi. Ho letto che dalla richiesta di scioglimento devono trascorrere tre mesi per avere il divorzio, volevo chiedervi se ci sono casi eccezionali per far abbreviare questi tre mesi se la richiesta di scioglimento è congiunta e fatta davanti all’ufficiale di stato civile, magari il sindaco in alcuni casì può abbreviare questi tempi?
Io e la mia ex compagna non abbiamo cose o immobili cointestati ne figli, non ci vediamo da 4 anni e di sicuro non ci sarà un ripensamento. Dovrei solo chiedere la trascrizione in Italia e subito dopo lo scioglimento nel più breve tempo possibile.
Grazie per il vostro aiuto.
Giulia
Gentile Giulia,
Purtroppo non è possibile abbreviare i tempi per ottenere il divorzio.
Il legislatore infatti, nella disciplina delle unioni civili, ha già previsto una riduzione dei tempi che sono invece necessari per ottenere il divorzio nell’ambito del matrimonio “tradizionale”: mentre in quest’ultimo caso devono trascorrere sei mesi o un anno dalla separazione, a seconda che la stessa sia stata consensuale o giudiziale, nel caso delle unioni civili devono trascorrere solo tre mesi. Non è pertanto possibile derogare alla regola così prevista.
Resto a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
Cordialmente