Con la legge n. 76 del 2016, la cosiddetta “legge Cirinnà”, è stata introdotta un’importante riforma del diritto di famiglia mediante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Purtroppo, però, la stessa legge nulla ha previsto con riferimento all’adozione da parte delle coppie gay.
Nel nostro Paese, l’unico modo per le coppie dello stesso sesso di adottare un bambino è la stepchild adoption, ovvero l’adozione del configlio, disciplinata dalla legge n. 184 del 4 maggio 1983 sul diritto del minore ad una famiglia. L’articolo 44 della legge 184, nel disciplinare l’adozione in casi particolari, stabilisce che, al di fuori dei casi di adottabilità di carattere generale (stato di abbandono, per esempio), i minori possono essere adottati anche:
- da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;
- dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
- quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
La giurisprudenza prevalente ed ormai dominante è orientata nel senso di consentire la stepchild adoption anche alle coppie omosessuali applicando il punto b) dell’articolo 44, quindi rendendo possibile l’adozione del figlio del proprio compagno.
Tuttavia, tale apertura mostrata dai Tribunali italiani non è sufficiente ad eliminare la distanza tra le coppie eterosessuali e le coppie omosessuali in tema di adozione.
Infatti la stepchild adoption, ai sensi dell’art. 45 della legge 184, è possibile solo quando uno dei due membri della coppia sia già genitore. Il problema continua dunque a sussistere per le ipotesi in cui sia la coppia a decidere di adottare un bambino.
Sul punto si è recentemente pronunciata la Corte Costituzionale, che il 28 gennaio ha emesso due sentenze con le quali ha dichiarato l’inammissibilità di due questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alla legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita.
In particolare, nel primo caso la vicenda aveva come protagoniste due donne che hanno avuto una figlia grazie alla procreazione assistita e la cui relazione si è poi conclusa. Sul certificato di nascita c’è solo il nome della mamma biologica, la quale si oppone all’adozione dell’altra donna che invece chiede di ricorrere all’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44 della legge 184.
Nel secondo caso invece, una coppia di uomini ha avuto un figlio all’estero, in Canada, grazie alla maternità surrogata. Solo che, mentre una pronuncia del Tribunale canadese li ha riconosciuti come genitori del bambino, in Italia non sono riusciti ad ottenere la trascrizione di quella pronuncia.
In entrambi i casi, la Corte Costituzionale ha ammonito chiaramente il legislatore italiano, invitandolo a colmare al più presto il vuoto normativo. La Consulta ha portato l’attenzione sul concetto di “genitorialità sociale”, anche quando non coincide con quella biologica, poiché il dato genetico non è requisito imprescindibile della famiglia.
È stato altresì precisato dalla Corte che è necessario per il bambino “un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia”. Si tratta, infatti, di legami che “sono parte integrante della stessa identità del minore”, e, sottolinea la Corte, “l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale”.
Proprio sulla scia dell’orientamento della Corte Costituzionale, in data 31 marzo è stata depositata dalla Corte di Cassazione una sentenza storica, pronunciata a Sezioni Unite, con la quale è stato stabilito che il Comune non può rifiutarsi di trascrivere un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di un minore e, dunque, non può non riconoscerne gli effetti.
In particolare, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’Avvocatura dello Stato per conto del sindaco di Samarate, il quale si era opposto alla decisione della Corte di Appello di Milano di acconsentire al riconoscimento dell’adozione di un bimbo da parte di una coppia omosessuale, adozione ottenuta a New York a seguito di un accordo di surrogazione della maternità.
La Corte ha sottolineato che il provvedimento di adozione ottenuto dalla coppia all’estero è stato fondato non solo sulla semplice richiesta da parte dei due uomini ma anche, e soprattutto, su un’accurata valutazione della loro idoneità genitoriale; inoltre, precisa la Corte, “non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante” e non può essere un “elemento ostativo all’adozione” il fatto che “il nucleo familiare sia omogenitoriale”.
Ed è proprio in occasione di questa pronuncia che, due giorni fa, la Cassazione ha rinnovato il sollecito al legislatore, invitandolo ad ampliare l’accesso all’adozione estendendolo anche a soggetti diversi dalle coppie coniugate eterosessuali.
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